Lucio Barani
A cura di Lucio Barani (Segretario nazionale nPSI)

Il 9 e il 10 giugno di quarant’’anni fa, gli italiani venivano chiamati a validare o no il decreto di San Valentino del febbraio 1984, che dava forza di legge all’ accordo tra il Governo Craxi e tutte le sigle confederali degli imprenditori e dei lavoratori, tranne la CGIL.

Il 14 febbraio 1984 il governo Socialista presieduto da Bettino Craxi varò un decreto ( Il decreto di San Valentino) per il contenimento dell’inflazione nell’anno 1984 che, tra l’altro, tagliava di 3 punti la scala mobile. Il provvedimento, in termini economici, rallentava il processo di adeguamento degli stipendi e dei salari dei lavoratori dipendenti all’aumento del costo della vita. Questo taglio era correlato all’introduzione di agevolazioni fiscali, blocco dell’aumento dell’equo canone, blocco delle tariffe pubbliche e varo di norme di maggior severità contro chi evadeva le tasse.

Prima di varare il decreto, Craxi aveva avuto l’assenso alle proposte di contenimento dell’inflazione avanzate dal suo governo da parte delle associazioni di categoria degli imprenditori e della CISL e della UIL, mentre la CGIL, su pressione della componente comunista maggioritaria, decise di ritirarsi dalle trattative proprio alla vigilia della sua definizione. Il 24 marzo arrivarono a Roma una trentina di treni speciali, con centinaia di migliaia di manifestanti mobilitati dal PCI. Successivamente Democrazia Proletaria e il PCI iniziarono a raccogliere le firme per un referendum abrogativo, che si tenne il 9 e il 10 giugno 1985

Durante la campagna referendaria il pentapartito – con l’appoggio di CISL e UIL, ma anche della componente socialista minoritaria della CGIL e degli ambienti confindustriali – fronteggiò il PCI, Democrazia Proletaria, il Movimento Sociale Italiano, il Partito Sardo d’Azione e la componente comunista della CGIL

Fortemente voluto dal Pci guidato da Enrico Berlinguer, si trattava di un referendum abrogativo sulla legge che aveva recepito quell’intesa. Il referendum non ottenne il consenso degli elettori.

Gli elettori, infatti che in quel momento credevano in Craxi, nel suo Governo, e nella sua volontà di rimettere a posto le finanze dello Stato, scelsero invece di mantenere il provvedimento e il 54,32% votò «no». Il successo del «no» fu in gran parte dovuto all’impegno diretto nella campagna elettorale referendaria del Presidente del Consiglio Bettino Craxi, che attribuì al «sì» effetti traumatici sulla vita del Paese e dell’esecutivo, e al dinamismo del segretario della CISL Pierre Carniti.

La decisione ostinata di intraprendere la via del referendum abrogativo sulla scala mobile è visto da alcuni storici come un grave errore politico del PCI e del suo all’ora segretario Alessandro Natta, risultando quindi come segnale evidente della crisi del PCI, costretto all’isolamento dopo la rottura con i socialisti di Craxi, che riteneva i comunisti massimalisti ancora legati alle vecchie concezioni marxiste-leniniste. La sconfitta del PCI fu visto dagli studiosi di politica come la sconfitta postuma di Enrico Berlinguer, il quale non vide mai il referendum sulla scala mobile in quanto era morto l’anno prima, l’11 giugno 1984 a Padova, colpito da un ictus cerebrale durante un comizio di piazza per le elezioni europee di quell’ anno.

Per Bettino Craxi la vittoria del NO fu un pieno riconoscimento dell’ elettorato italiano alla politica economica del suo governo nato nell’ agosto del 1983 ed un chiaro incoraggiamento ad andare avanti sulla strada intrapresa. Quelle scelte economiche coraggiose assicurarono benessere, sviluppo, occupazione e crescita al Paese al punto dal diventare nel 1987 la Quarta potenza industriale Europea.

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Di Staff

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